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martedì 24 giugno 2008

La famiglia del tossicodipendente

La famiglia del tossicodipendente secondo un’ottica relazionale.
Il disagio psichico di uno dei membri costituisce il segnale di un malessere più esteso che riguarda il gruppo familiare rispetto ai compiti evolutivi del ciclo vitale.
In questa prospettiva il fenomeno della tossicodipendenza è visto come un modo per perpetuare la storia familiare in maniera ripetitiva e stereotipata, per cristallizzare le posizioni dei singoli membri in una configurazione relazionale immobile e coartata.
Per quanto riguarda i ruoli all’interno di queste famiglie, si può parlare di “delega accuditiva”. È quel fenomeno secondo cui i soggetti, ad un certo punto della loro infanzia, vengono affidati a parenti più o meno prossimi che li prendono in carico sia sotto l’ aspetto delle cure materiali che di quelle affettive ed educative.
Allora cosa succede: di solito la madre, essendo impegnata su un fronte emotivo diverso da quello con il figlio, segue le mansioni accuditive in modo apparentemente ineccepibile ma in realtà più funzionali ai propri desideri di adeguatezza sociale e di ricerca di conferme da parte dei propri genitori (non è avvenuto lo svincolo dalle famiglie d’origine, indispensabile per la costruzione di un altro sé familiare). Dunque l’effetto immediato di questo “stallo emotivo” ha favorito una ripetizione di situazioni simili vissute sia nella famiglia d’origine che in quella di elezione.
La figura paterna sembrerebbe quasi impotente rispetto al proprio ruolo ed estromesso all’interno del rapporto coniugale.
Nei genitori è emersa una scarsa interiorizzazione di quei ruoli necessari ad accogliere i propri figli come altri da sé. Il rapporto genitori-figli è basato su una confusione di confini generazionali che ha impedito ai genitori di portare a termine il loro mandato generazionale e ai figli di vivesi come persone con una propria identità.

Il figlio tossicomane
La condizione di immobilità e di resistenza al cambiamento tipica di queste famiglie, si innesca in uno specifico stadio della storia della famiglia, ovvero nel momento in cui il figlio comincia a richiedere maggiori spazi di autonomia, in corrispondenza della fase adolescenziale.
Il drogarsi assume una duplice funzione relazionale: da una parte permette al tossicomane di essere distante, indipendente ed individuato, dall'altra lo rende dipendente in termini di danaro, di mantenimento e fedele alla famiglia.
Malgrado quindi una dichiarata ansia di indipendenza resta pur sempre assodato che la maggioranza dei tossicomani tende a mantenere stabili legami con l'ambiente familiare restandovi a vivere a lungo nel tempo o comunque mantenendo contatti più di quanto non facciano coetanei non tossicodipendenti. Nella fase in cui si dovrebbe attuare lo svincolo adolescenziale, l’esterno viene avvertito come minaccioso e si ha la percezione della casa come microcosmo sociale in cui rinchiudersi. Il male è nel sociale e la casa rappresenta una gabbia dorata, che da un lato è un contenitore rassicurante, dall’altro però è altamente asfissiante.
Per il tossicodipendente l’uso coatto della sostanza, con le sue qualità anestetizzanti, può forse rappresentare il ritorno ad uno stato in cui le differenziazioni me-non me, interno ed esterno, non hanno alcun significato e quindi non possono essere pensate. La tossicodipendenza va dunque a rappresentare uno spazio altro rispetto a questo microcosmo saturo che è la casa, in cui poter immaginare di esperire una qualche forma di pensiero.

I processi di triangolazione e le tipologie
L’abuso di droga può servire a mantenere insieme i genitori o a raggiungere l’obiettivo di far interrompere un litigio tra loro.
Si può parlare di una frequente triangolazione del paziente in un rapporto preferenziale col genitore che sente più in difficoltà in una coppia in stallo. Egli ha il ruolo, emotivamente difficile, di mediare la tensione latente tra i genitori e di colmare artificialmente un vuoto affettivo. In questi giochi di triangolazione il figlio svolgerebbe la funzione di contenimento e di mascheramento di conflitti genitoriali latenti.
Si tratta di una situazione emotiva di estrema ambivalenza: da un lato può sentirsi al centro di gratificazione e privilegi, dall’altro stabilisce un vincolo rigido di dipendenza dalle figure genitoriali che, durante la crisi adolescenziale, entra drammaticamente in collisione con i nuovi emergenti bisogni di autonomia e di individuazione. Naturalmente l’insorgere della malattia risolve il problema perché il paziente continua ad assolvere il compito assegnatole e i genitori, impegnati nella cura, rimandano la ricerca di nuove soluzioni per superare i motivi di insoddisfazione reciproca.

Legami familiari tra delega e lealtà familiari
Il paziente sembra accentrare su di sé le tensioni familiari poiché è demandato a lui di rappresentare un centro focale intorno a cui la famiglia si aggrega. Il tentativo del paziente di contenere le tensioni familiari trova significato nel mantenere la coesione della famiglia a tutti i costi, esorcizzando le minacce di rottura dei legami, cioè i timori della disgregazione dell’unità familiare in caso di esplicitazioni del conflitto o aumento delle distanze.
Il tossicomane e la famiglia hanno difficoltà a trattenere i contenuti mentali “emozionanti” che anzi vengono trasformati in agiti. Le emozioni appaiono sotto forma di aggressività fisica o verbale oppure come vere e proprie angosce nei confronti della vicinanza fisica, vissuta nei rapporti con i propri familiari.
Tutto il sistema familiare sembra vivere sotto l’ombra di una minaccia costante e incombente di un’improvvisa catastrofe che può disintegrare il mondo: l’irruzione dell’emozione profonda.
Se si sta dentro la famiglia e si sente, si pensa, allora vengono fuori dolori così grandi che c’è bisogno di morfina “stare dentro ma non pensare; stare dentro ma non affrontare i problemi che sonno molto dolorosi”.
La matrice mentale sembra essere e segregamente viversi, come molto carente, molto poco attrezzata a pensare le emozioni e gli affetti. A ciò naturalmente si contrappone una struttura di pensiero che può soltanto tentare di esercitare un rigido controllo su tutti gli accadimenti.
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giovedì 5 giugno 2008

La coppia. la scelta del partner

La coppia. La scelta del partner

La condizione della vita di una coppia è quella, per ciascuno dei due partner, di riaffermare e ridefinire le differenze e cioè la necessità da parte di ciascuno dei due di mantenere la propria specificità differenziata dall’altro. Questa è la condizione affinché l’incontro tra due persone possa fornire sufficienti motivi di interesse e di stimolo.
Lo stato interno di una persona è regolato tramite il rapporto con l’altro, e tale stato dovrà essere negoziato e rinegoziato attraverso le varie vicende del ciclo vitale. Con il tempo si vengono a stabilire, nella relazione, un insieme di regole e di abitudini condivise, una rete di emozioni, desideri, bisogni e aspettative con cui ciascuno dei due partner alimenta il legame di intimità con l’altro; si verrà a sviluppare così quel senso del noi che non è altro che l’espressione di un sentimento di reciprocità condivisa.
L’intensità di attaccamento negli adulti o in una coppia dipende dal gioco della reciproca interazione tra i vari modelli operativi interni dei due partner. Tali modelli corrispondono alla rappresentazione di un evento o di storie, intese come espressione delle varie relazioni interne e del loro portato affettivo. Le relazioni interne all’individuo si vengono a proporre in diversi momenti del ciclo vitale. Per esempio l’inizio della vita di coppia ci mette a confronto con le dinamiche della coppia interiorizzata dei genitori e cioè di quella relazione reale tra i genitori cui il bambino assiste. Tale relazione comprende le fantasie e le attese su di essa e sarà facilitante o non facilitante la capacità di instaurare rapporti futuri di coppia.
Può succedere che la relazione interna contenga aspetti negativi e che quindi la scelta dell’altro sia dettata dalla ricerca di “riparare” a quegli aspetti con la relazione reale (quella con il partner). Parliamo di un tentativo riparativo di una ferita affettiva.
L’altro, dunque, può funzionare o da aspetto collusivo, mantenendo la rigidità di un sistema, di un equilibrio che può far paura se non lo si mantiene tale (tutto ciò porta ad una mancanza di benessere sia sul piano individuale che su quello della coppia, con una relazione all’insegna dell’infelicità e della ripetitività) o da aspetto di riparazione e di disconferma delle proprie aspettative di un modello operativo interno disadattivo (ciò è indice di cambiamento di una condizione stagnante).
Se prevale l’aspetto collusivo, si attiva quel meccanismo di difesa intorno a temi traumatici del passato e si proteggono gli aspetti di fragilità della persona.
Lo scopo di una terapia di coppia prevede un processo di elaborazione legato ad un intervento interpretativo che porta, sia ad una differenziazione tra una rappresentazione di coppia nella realtà e una interna, sia alla comprensione di atteggiamenti ripetitivi ad usare i rapporti reali come conferma di un’aspettativa.
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