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lunedì 8 marzo 2010

Il colloquio clinico

Il colloquio clinico

Dal vocabolario apprendiamo che il colloquio consiste in una conversazione, un momento fissato tra due o più persone per discutere, scambiare idee: comunicare.
Etimologicamente comunicare significa “mettere in comune”, stabilire un rapporto con qualcosa che non ci appartiene, quindi “essere con” pur mantenendo una distanza.
La comunicabilità si addice alle situazioni di adattamento reciproco, in cui ogni partecipante alla comunicazione impara gradualmente ad entrare nel sistema di riferimento dell’altro non abbandonando completamente il proprio (Jacques, 1992).
Il fatto che un colloquio sia normalmente fissato con anticipo, che esiste un accordo sullo scopo, il tempo, il luogo e le condizioni particolari di attuazione (ad esempio il costo della seduta), introduce delle variabili che caratterizzano fortemente il contesto della comunicazione.
Il contesto all’interno del quale si svolge il colloquio fa da contenitore a questo incontro e dà significato e senso agli scambi.
Il colloquio clinico, come forma di interazione diadica, si configura come un particolare contesto in cui diversi e specifici sono i ruoli svolti dall’intervistatore e dal soggetto.
L’intervistatore dispone dunque delle espressioni e del comportamento del soggetto, unitamente al contesto in cui esse vengono poste in atto.
Esistono infatti delle convenzioni tra gli interlocutori, in primo luogo di origine socioculturale, che collocandoli su posizioni diverse, agiscono sul piano della relazione.
La distribuzione dei turni di parola, per esempio, dipende da convenzioni esterne all’interazione in corso, dall’influsso di regole sullo svolgimento della conversazione, sulle modalità di espressione, sulla gestione dello spazio interlocutorio.
Il colloquio si fonda più che su singoli episodi comunicativi, sul processo di interazione tra gli interlocutori, il quale non può prescindere dagli atteggiamenti dei protagonisti, dalle loro credenze, finalità e motivazioni individuali, che rendono allo stesso tempo irripetibile il suo svolgimento.
Nello svolgimento di un colloquio, lo psicologo è spinto da motivazioni personali, umane, legate ai propri interessi ed alle curiosità verso gli altri, le quali si sono costituite attraverso una serie di scelte che egli ha effettuato nel tempo e che gli forniscono una sorta di sintesi operativa in quel momento.
Il colloquio clinico è una situazione in cui la comunicazione avviene tra due persone che si incontrano più o meno volontariamente, sulla base di una rapporto esperto-cliente.
Sullivan afferma che non è possibile conoscere che cosa turba la vita di una persona, il suo problema, senza avere un’idea abbastanza chiara della persona e di quelli che la circondano, e cioè delle modalità tipiche di relazione.
Uno psicologo che tenga conto della dimensione temporale, non fa riferimento al solo contesto di osservazione (spazio interattivo del colloquio) ma anche al patrimonio interazionale che le persone hanno acquisito negli anni, dando rilievo agli elementi soggettivi (ricordi, aspettative, intenzioni), del tempo vissuto sia individuale che collettivo.
La fisionomia del colloquio è tratteggiata dal metodo di conduzione dell’incontro e dalla unità di osservazione e di analisi.
L’utilizzazione del colloquio a scopo diagnostico o prognostico si basa sul presupposto che, i tratti, le disposizioni, rilevate in una persona in occasione del colloquio, non sono caratteristiche incidentali, casuali, limitate nel tempo e nello spazio alla situazione in esame ma possono essere trasferite ad ambiti più vasti e rilevanti del comportamento.
Tuttavia questa sostanziale identità, questa complessiva stabilità, non deve far dimenticare le molteplici potenzialità di una persona. Infatti, una relativa unità, continuità e costanza che è possibile riscontrare nella condotta di ognuno, non deve far credere che la persona sia un sistema “monovalente”.
Essa è piuttosto un sistema “multivalente”, cioè dalle potenzialità molteplici, in quanto si è formata attraverso l’apprendimento di numerosi “ruoli” psicosociali.
Nei rapporti interpersonali della vita quotidiana, la tendenza a generalizzare, partendo da un aspetto limitato del comportamento, porta ad una semplificazione, ad un appiattimento deformante nella “percezione” della personalità.
Bisogna evitare che si verifichi anche nel colloquio clinico.
Consapevole di questa facile tendenza alla generalizzazione, lo psicologo dovrà sempre formulare le proprie ipotesi con riserva, proponendosi di verificare, mediante l’assunzione di ulteriori informazioni, la prima impressione riportata.
Deve assumere un atteggiamento di ricerca prudente.

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