Psicolife - psicologia e psicoterapia a Firenze

lunedì 27 giugno 2011

Lo sviluppo del linguaggio in età evolutiva

L’ontogenesi del linguaggio si sviluppa intorno a 3 tappe essenziali:
• Il prelinguaggio (fino ai 12-13 mesi, talvolta 18 mesi)
• Il piccolo linguaggio (da 10 mesi a 2 e mezzo 3 anni)
• Il linguaggio (partendo dai 3 anni)
Partendo dalle grida del neonato che esprimono tutta una gamma di sensazioni (collera, impazienza, dolore, soddisfazione, piacere) sulla base delle risposte che da la madre.
Partendo da 1 mese, compare il cinguettio o la lallazione: il cinguettio è costituito all’inizio da suoni non specifici in risposta a stimoli non specifici. La lallazione si arricchisce rapidamente sul piano qualitativo così bene che il bambino sembra in grado di produrre, in maniera puramente casuale, tutti i suoni immaginabili.
Dai 6 agli 8 mesi, appare il periodo dell’ecolalia: una specie di dialogo che si stabilisce tra il bambino e sua madre o suo padre; risponde alla parola dell’adulto con una specie di melodia relativamente omogenea, continua. Poco a poco la ricchezza delle emissioni sonore iniziali si riduce per lasciar posto solo ad alcune emissioni vocaliche e consonantiche fondamentali.
Le prime parole compaiono spesso in situazione di ecolalia. A 12 mesi un bambino può aver acquisito da 5 a 10 parole: a 2 anni il vocabolario può comprendere 200 parole, con grandi differenze nell’età dell’acquisizione e nella rapidità. La comprensione passiva precede sempre l’espressione attiva. Nel periodo della “parola frase”, il bambino utilizza una parola il cui significato dipende dal contesto gestuale, mimico o situazionale che è soprattutto quello che l’adulto gli dà. Così “to, to” può voler dire “io vedo una macchina”, “io sento una macchina”, “è la macchina di papà”.
Verso i 18 mesi, appaiono le prime frasi, cioè le prime combinazioni di due parle frasi: “pati-papà”, “dodo-bebé”.
Il linguaggio
È un periodo più lungo e complesso nell’acquisizione che si caratterizza per un arricchimento sia quantitativo (dai 3 anni e mezzo e i 5 anni un bambino può impadronirsi anche di 1500 parole, senza comprenderne sempre il significato in maniera corretta) e qualitativo.
Verso i 3 anni l’introduzione dell’”io” può essere considerata come la prima tappa dell’accesso al linguaggio dopo il periodo in cui il bambino si indica con “me” e un lungo periodo transitorio in cui egli utilizza “io me”.
L’arricchimento quantitativo e qualitativo sembra prodursi partendo da:
• Un’attività verbale libera, in cui il bambino continua ad utilizzare un “grammatica” autonoma, stabilita partendo dal piccolo linguaggio;
• Un’attività verbale “mimetica” in cui il bambino ripete nella sua maniera il modello dell’adulto, acquisendo progressivamente parole e costruzioni nuove che sono poi immesse nella sua attività verbale “libera”.
Tra i 4 e i 5 anni, l’organizzazione sintattica del linguaggio diviene sempre più complessa in modo tale che il bambino può fare a meno di qualsiasi supporto concreto per comunicare.
Ritardo semplice del linguaggio
Il ritardo semplice del linguaggio è una manifestazione ad evoluzione favorevole. Essa consiste in una condizione nella quale, all’età di 3-4 anni il linguaggio non è ancora comparso. È un disturbo frequente che colpisce particolarmente i maschi.L’alterazione non interessa solo la parola: questa infatti non viene riprodotta esattamente in conseguenza di una difficoltà ad analizzare la natura dei fenomeni e a riprodurli nel loro ordine. Più spesso al ritardo della parola si associa un ritardo dell’organizzazione del linguaggio.
Il disturbo è caratterizzato da:
• Sostituzione di consonanti sonore con le sorde corrispondenti ( b sostituito da p; v da f; z da s);
• Sostituzione di consonanti ostruttive con le corrispondenti occlusive (z o s sostituite da t o d);
• Omissioni di finali;
• Semplificazione di gruppi consonantici (ta al posto di sta);
• Contrazione o dissociazione di fonemi (i al posto di li).
Il ritardo semplice del linguaggio può essere dovuto a disturbi della maturazione cerebrale che comportano una difettosa percezione del linguaggio, a carenze qualitative e quantitative del linguaggio nella famiglia. Il disturbo viene rinforzato dall’atteggiamento dei genitori quando tendono a correggere la pronuncia del bambino o quando mostrano atteggiamenti di compiacimento. Se il ritardo della comparsa del linguaggio si protrae al di là dei 4 anni si dovrà prospettare una condizione patologica. Il periodo tra i 3 e i 5 anni rappresenta una soglia critica per il rischio che l’alterazione si fissi. Per questo è importante un aiuto terapeutico. Si tratterà di una rieducazione ortofonica, di una rieducazione psicomotoria incentrata soprattutto sulle componenti spazio-temporali (ritmo, melodia) e sull’integrazione dello schema corporeo. In alcuni casi una psicoterapia della coppia madre-bambino si dimostra necessaria quando le loro relazioni sembrano organizzarsi con modalità patologiche.
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lunedì 14 marzo 2011

J.Bowlby e la terapia familiare

In un articolo intitolato “Reazioni circolari nella famiglia e in altri gruppi sociali”, Bowlby parla di “circoli negativi della nevrosi” nei quali “genitori insicuri creano figli insicuri che crescendo creano una società insicura che a sua volta crea altri genitori insicuri” e in contrasto a tutto ciò indica i circoli positivi della salute e del bisogno di “un grande sforzo terapeutico: quello di ridurre la tensione e di promuovere la comprensione e la cooperazione tra i gruppi di esseri umani”.
Le idee di Bowlby sono state sviluppate in Gran Bretagna da John Byng-Hall (1991) che si è occupato di aspetti spaziali dell’attaccamento che possono essere illustrati dalla metafora del porcospino di Schopenhauer come un’immagine del dilemma “troppo lontano-troppo vicino” all’interno delle famiglie.
Un certo numero di porcospini si raggruppano in un freddo giorno di inverno tentando di riscaldarsi; ma non appena cominciarono a pungersi l’uno con l’altro con i loro aculei furono obbligati a disperdersi. Tuttavia il freddo li spinse ad avvicinarsi nuovamente ma si ripeté la scena precedente. Alla fine dopo che per molte volte si erano raggruppati e dispersi scoprirono che la cosa migliore per loro sarebbe stata quella di rimanere a poca distanza gli uni dagli altri. (citato in Melges, Swartz, 1989).
Byng-Hall (1991), da una prospettiva neuropsichiatrica infantile, vede il paziente sintomatico in una famiglia che non funziona comportarsi come la zona cuscinetto tra i genitori porcospini: quando i genitori cominciano ad allontanarsi il bambino sviluppa sintomi che li fanno riunire e quando di converso essi diventano pericolosamente vicini egli si insinua tra di loro alleviando i pericoli immaginari dell’intimità. Byng-Hall (1985) vede i presupposti e gli assunti che i partner portano dalle loro “famiglie d’origine” nelle loro “famiglie di procreazione” in termini di “copioni familiari”; più precisamente “pattern di interazione o danza” (Minuchin, 1974) che un individuo si aspetta da sé e da coloro che gli sono vicini. La psicoterapia con i suoi obiettivi fondamentali (il bisogno di fornire una base sicura, l’aiuto dato alle persone nell’esprimere e venire a patti con la rabbia e le delusioni, cose che possono essere viste nei termini della protesta della separazione, l’aiuto a raggiungere l’integrazione e la coerenza all’interno di se stessi e con la propria famiglia), rappresenta un tentativo di intervenire in questo ciclo per mezzo dell’alterazione di un “pattern di relazione”.
La relazione terapeutica diviene un’importante opportunità di sperimentare, nel tentativo di cambiare i modelli di relazione abituali in un contesto che non è il solito.
Lavorando nel processo terapeutico sulle relazioni significative dell’individuo con il mondo circostante ma soprattutto sulla relazione che stabilisce con il terapeuta, è possibile cambiare anche il suo modo di intervenire nel sistema dei rapporti familiari.
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lunedì 14 febbraio 2011

Teoria dell’attaccamento e pratica psicoterapeutica

“L’alleanza terapeutica viene definita come una base sicura, un oggetto interno come modello operante o rappresentazionale di una figura d’attaccamento, la ricostruzione come l’esplorazione dei ricordi del passato, la resistenza come profonda riluttanza a disobbedire agli ordini antichi dei genitori di non parlare o di non ricordare”. (Bowlby, 1988).
La teoria dell’attaccamento prevede che quando qualcuno si confronta con la malattia, con la disgrazia o con una minaccia, egli cerchi la figura d’attaccamento dalla quale poter ottenere conforto. Una volta che si è stabilita una base sicura, il comportamento di attaccamento si riduce e si può cominciare ad esplorare: in questo caso l’esplorazione riguarderà la situazione che ha causato la disgrazia e i sentimenti che ha provocato.
Lo stabilirsi di una base sicura dipende dall’interazione tra chi chiede e chi dà aiuto. Il paziente porta con se stesso in terapia tutti i fallimenti, i sospetti, le perdite che ha sperimentato nella propria vita. Le forme difensive dell’attaccamento insicuro (evitamento, ambivalenza, disorganizzazione) entrano in gioco nella relazione con il terapeuta. Ci sarà una lotta tra questi pattern abituali e l’abilità del terapeuta nel fornire una “base sicura”: la capacità di essere in grado di reagire in modo sensibile ed essere in sintonia con i sentimenti del paziente, di ricevere proiezioni e di trasformarle in modo che il paziente possa affermare le emozioni in esse contenute fin qui non trasformabili. Nella misura in cui ciò avviene il paziente lascerà andare gradualmente l’attaccamento al terapeuta mentre, simultaneamente, costruisce una base sicura all’interno di se stesso. Il risultato di tutto ciò, mentre la terapia si avvia alla sua conclusione, è che il paziente è più capace di formare relazioni di attaccamento meno ansiose nel mondo esterno e si sente più sicuro dentro di sé.
Una parte importante del compito della terapia consiste nel tirare fuori e modificare gli “schemi mentali” del paziente. Dal momento che il paziente ha molte probabilità di sviluppare uno stretto attaccamento al terapeuta, i suoi assunti, le sue preconcezioni e le cose in cui crede saranno portati in gioco nella relazione con il terapeuta, il quale “ri-proporrà”, mano mano che diventano visibili, alla reciproca considerazione.

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martedì 11 gennaio 2011

Le caratteristiche di una relazione tra madre e bambino: la relazione di attaccamento

Come sanno bene i genitori dei bambini in grado di camminare, i bambini piccoli sono inclini a seguire le loro figure di attaccamento ovunque esse vadano. La distanza alla quale il bambino si sente a suo agio dipende da fattori come l’età, il temperamento, la storia dello sviluppo, dal sentirsi affaticato, spaventato o malato; casi questi che aumentano il comportamento di attaccamento.
La teoria dell’attaccamento accetta il primato che viene dato solitamente alla madre come principale fonte di cure ma non c’è nulla nella teoria che suggerisca che i padri non possano egualmente diventare principali figure di attaccamento se capita loro di provvedere in gran parte alla cura del bambino.
La prova migliore della presenza di un legame di attaccamento è l’osservazione della reazione alla separazione. Bowlby identificò la protesta come la risposta primaria provocata nei bambini dalla separazione dei genitori. Pianto, grida, urla, morsi, calci: questi “cattivi” comportamenti sono la reazione normale alla minaccia di un legame di attaccamento e hanno la funzione di cercare di ripararlo e “punendo” chi si prende cura del bambino, di evitare ulteriori separazioni.
Modelli operativi interni
Il bambino in fase di sviluppo costruisce una certa quantità di modelli di se stesso e degli altri basati su pattern ripetuti di esperienze interattive.
Questi “assunti di base” (Beck et al., 1979), “rappresentazioni delle interazioni che sono state generalizzate” (Stern, 1985), “modelli di relazioni di ruoli” e “schemi sé-altro” (Horowitz, 1988), formano modelli rappresentazionali relativamente fissi che il bambino usa per predire il mondo e mettersi in relazione con esso.
Un bambino con un attaccamento sicuro immagazzinerà un modello operativo interno di una persona che si prende cura di lui, amorosa, affidabile e di un sé che è meritevole di amore e di attenzione e questi assunti influiranno su tutte le altre relazioni.
Un bambino con un attaccamento insicuro può vedere il mondo come un posto pericoloso nel quale le altre persone devono essere trattate con grande precauzione e si considererà come un incapace e non meritevole di amore. Questi assunti sono relativamente stabili e duraturi: quelli che si costruiscono nei primi anni di vita sono particolarmente persistenti e non hanno molte probabilità di essere modificati dall’esperienza successiva.
L’attaccamento nella vita adulta
Quando i bambini crescono e cominciano a raggiungere l’adolescenza tollerano periodi sempre maggiori di separazione dai loro genitori. Questo vuole dire che la “fase” di attaccamento è stata superata per essere sostituita dalla “genitalità adulta”?.
Secondo il modello di Bowlby, assolutamente no. A suo parere, l’attaccamento e la dipendenza, sebbene non più evidenti allo stesso modo che nei bambini piccoli, rimangono attivi lungo tutto il ciclo vitale.
Per gli adolescenti la casa dei genitori rimane ancora un importante punto di riferimento e il sistema di attaccamento tornerà a riattivarsi in momenti di minacci, malattia o stanchezza. La turbolenza dell’adolescenza può essere vista come generata dalla complessità del distacco e del nuovo attaccamento che l’adolescente deve portare a termine: svincolarsi dagli attaccamenti genitoriali, tollerare il lutto di questa perdita, proseguire attraverso la fase transizionale dell’attaccamento al gruppo dei coetanei, verso la costituzione d un legame di coppia nella vita adulta.
In conclusione, le madri sicure hanno facilità e prontezza nelle risposte e sono in sintonia con i loro bambini fornendogli una base sicura per le esplorazioni, sono capaci di tenerli e di far fronte ai loro disagi e alla loro aggressività in modo soddisfacente. Esse hanno una visione equilibrata della propria infanzia.
I loro bambini, sicuri da piccoli, crescendo diventano ben adattati socialmente e hanno una capacità realistica di autovalutazione e la sensazione che alla separazione, per quanto sia triste e dolorosa, si può rispondere in modo positivo.
I bambini insicuri, specialmente quelli evitanti, tendono ad avere madri che trovano difficile l’holding (capacità di contenimento) e il contatto fisico che non rispondono ai bisogni del proprio bambino e nono sono ben sintonizzate sui suoi ritmi. I genitori dei bambini insicuri falliscono nel rispondere in modo appropriato alle angosce del proprio bambino, o ignorandolo (evitandolo) o diventando troppo coinvolti, facendosi prendere dal panico, o rimanendoci impantanati (ambivalenti).
Le manifestazioni comportamentali di queste cattive sintonie nella relazione genitore-figlio includono fenomeni come il distogliere lo sguardo, l’autolesionismo (come lo sbattere la testa), il rimanere immobili o il litigare violentemente.

Ingredienti essenziali di un buon genitore
• Sensibilità
• Sintonia
• Capacità di contenimento
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