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sabato 16 giugno 2007

L’anoressia è un disturbo tipico dell’adolescenza. L’adolescenza è una fase del ciclo vitale denominata “fase del trampolino” (Walsh,993) o fase dello “svincolo” (Haley,983) in cui sia l’adolescente che i membri della sua famiglia sperimentano una nuova organizzazione di ruoli e di funzioni che caratterizzano una nuova identità del “familiare” e dell’”individuale”.
L’adolescenza è un periodo di transizione, un periodo delicato in cui si può assistere all’insorgenza di sintomi che comunicano la difficoltà di separarsi dalla famiglia. In alcune famiglie tale processo di riorganizzazione si ferma, comportando rigidità di ruoli, di aspettative e regressioni psicologiche importanti. Da ciò il comportamento alimentare insieme ad altri disturbi tipici dell’adolescente, possono essere riconosciuti come un vero e proprio sciopero della crescita.
Ma cosa succede nelle famiglie degli adolescenti con disturbi del comportamento alimentare?
Intanto i genitori di adolescenti si trovano, mediamente, in un periodo della vita in cui cominciano a fare i conti con l’età che avanza. Questo può spingere i genitori a mettere in atto un tentativo illusorio di allentare o fermare il corso del tempo; non riconoscendo lo stato di crescita dei loro figli adolescenti, è come se rimanessero emotivamente nella condizione con bambini piccoli e quindi con genitori giovani.
Un altro fatto da tener presente è quello in cui è possibile che in quella famiglia si possono scorgere “fantasmi di rottura” (Onnis, 1990) che portano ogni membro della famiglia a spingere verso la fusione.
Aggiungiamo inoltre i casi in cui due coniugi non vanno d’accordo, ci sono tensioni latenti e conflitti e conflitti che non vengono affrontati grazie alla presenza di un terzo (il figlio), con conseguente coinvolgimento di quest’ ultimo in ruoli e funzioni inadeguate. Può succedere così che i genitori invece di continuare a mantenere il loro ruolo con le responsabilità educative connesse, cercano di trovare un sodalizio con i figli che dall’altra parte vorrebbero invece trovare un “genitore avversario” per potersi opporre e differenziare. L’adolescente in tale situazione, può sentirsi valorizzato dalla considerazione del genitore che dall’altra si sente insoddisfatto, trascurato e incompreso dal coniuge e che vede nel figlio adolescente un sostituto, un adulto. In questo clima affettivo, i figli tendono quindi ad assumere posizioni, ruoli e atteggiamenti incongrui o accettando triangolazioni del tutto improprie. Ed è proprio in questa fitta e intricata trama di ruoli, funzioni, mandati e miti familiari, che trova luogo un disturbo del comportamento alimentare che si manifesta soprattutto come paura di crescere e di separarsi dai genitori.
Per leggere il sintomo all’interno di un contesto familiare, è necessario analizzare i “modelli di interazione familiare”. Don Jackson, uno dei pionieri della psicoterapia familiare scriveva che “la famiglia è un sistema interpersonale governato da regole di relazione (Don Jackson, 1965). L’autore intendeva dire che gli elementi costitutivi di una famiglia sono i membri con le loro relazioni e che tra queste relazioni alcune tendono a ripetersi nel tempo ed assumere una particolare stabilità nel tempo; sono queste che vengono indicate come “regole” di relazione. Tali regole devo essere flessibili per permettere processi di cambiamento, specialmente durante le fase di transazione del ciclo vitale, fase che necessitano di trasformazioni evolutive. Quando invece le regole di relazione sono eccessivamente rigide, ciò provoca una cristallizzazione dell’equilibrio che si è formato con conseguente arresto nel processo evolutivo. Ed è proprio dentro questo equilibro cristallizzato che la sofferenza familiare può tradursi nel comportamento sintomatico di un membro.
Il sintomo viene ad assumere una doppia valenza: da un lato serve per comunicare un disagio all’interno del sistema familiare, un disagio che necessita di cambiamento, dall’altra ha la funzione di mantenere un equilibrio di un sistema disfunzionale o patologico. Il metodo più semplice per mantenere inalterata una situazione familiare inadeguata, rigida, è scegliere una persona e farla diventare il problema.
Quando parliamo di organizzazione familiare, non possiamo non parlare Minuchin (1976).
Uno dei concetti della teoria di Minuchin è quello di struttura della famiglia. “La struttura familiare è l’invisibile insieme di richieste funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono una famiglia è un sistema che opera tramite modelli transazionali. Transazioni ripetute stabiliscono modelli su come, quanto e con chi stare in relazione. Questi modelli definiscono il sistema”.
La struttura della famiglia deve essere capace di adattarsi se le situazioni cambiano. Secondo Minuchin la sopravvivenza della famiglia come sistema dipende da una gamma sufficienti di modelli, dalla disponibilità dei modelli transazionali alternativi e dalla flessibilità di mobilitarli quando si è necessario.
Il sistema familiare differenzia e svolte le sue funzioni per mezzo di sottosistemi. Gli individui sono sottosistemi in una famiglia.
Un altro concetto fondamentale della teoria di Minuchin è il confine. I confine del sottosistema sono le regole che definiscono chi partecipa e come. Perché la famiglia funzioni bene, i confini tra i sottosistemi devono essere chiari. Nel funzionamento dei confini ci sono due estremi: invischiamento e disimpegno. La famiglia può essere collocata in una posizione secondo un continuum che sta tra due poli:
1. famiglie disimpegnate (confini eccessivamente rigidi)
2. famiglie normali (confini chiari)
3. famiglie invischiate (confini diffusi, dove ogni processo di differenziazione è bloccato e dove ogni separazione è vista come tradimento. In queste famiglie il senso di appartenenza predomina su quello di identità).
Le ricerche pionieristiche condotte da Mnuchin (1980) alla Philadelphia Child Guidance Clinic, avevano evidenziato la presenza nelle famiglie con problemi di anoressia, di quattro modelli di interazione disfunzionale che Minuchin aveva individuato come: invischiamento, ipreprotettività, evitamento del conflitto e rigidità.
• Invischiamento: consiste nella tendenza dei membri della famiglia a manifestare intrusioni nei pensieri, nei sentimenti, nelle azioni e nella comunicazione degli altri. In queste famiglie c’è una labilità dei confini tra gli individui e i sottosistemi generazionali con conseguente confusione delle funzioni e dei ruoli. Non c’è autonomia né spazi personali; Minuchin definì queste famiglie come “famiglie con le porte aperte”. È evidente che queste caratteristiche della struttura familiare, limitano e rendono impossibile lo sviluppo dei processi di autonomizzazione e di individuazione.
• Iperprotettività: è una tendenza alla preoccupazione, alla sollecitudine e all’interesse reciproco che i membri della famiglia manifestano specialmente per quel che riguarda il benessere fisico. In particolare, di fronte al sintomo dell’anoressia, si attiva la mobilitazione di tutta la famiglia. tale preoccupazione e atteggiamento protettivo in queste famiglie, ha la funzione di nascondere ogni altro problema, difficoltà,dolori, conflitti che sente troppo pericoloso e difficile da affrontare.
• Esitamento del conflitto: si manifesta con la tendenza dei membri della famiglia ad adoperarsi per evitare che la conflittualità o il disaccordo venga fuori. È per questo che ogni volta che la tensione della famiglia diviene minacciosa, uno dei membri, spesso il paziente, interviene richiamando su di sé e sul problema l’attenzione di tutti. Il conflitto in questo modo rimane coperto e l’intera famiglia si focalizza sulle difficoltà alimentari della paziente. È evidente come il sintomo della paziente, diventa il catalizzatore principale attorno a cui si modulano le relazioni della famiglia.
• Rigidità: consiste nella ripetizione delle stesse regole di relazione, nella difficoltà ad accettare processi di trasformazione, nel tutelare un equilibrio che si è cristallizzato e che è troppo fragile per poter accedere al rischio dei cambiamenti. L’immagine delle famiglie rigide delle anoressiche è quella di famiglie armoniose e unite, in cui l’unico problema è la malattia della paziente. Se emerge qualche contrasto tra i genitori, esso riguarda la gestione delle difficoltà alimentari della paziente. Caratteristica di queste famiglie è l’inibizione dell’espressione delle emozioni soprattutto quelle legate ad eventi troppo dolorosi per i membri della famiglia. andando a guardare la relazione di coppia dei genitori, vediamo che essa presenta problemi di comunicazione relative ad arre latenti di conflittualità nascosta e irrisolta. Questa insoddisfazione nasce da aspettative deluse che non possono essere esplicitate per paura della rottura del rapporto e che viene visto come un rischio che non può essere emotivamente affrontato (evitamento del conflitto). In queste situazioni può verificarsi il coinvolgimento della paziente in un rapporto preferenziale con l’uno o con l’altro dei genitori, solitamente con chi si sente più in difficoltà nella coppia. La figlia così viene triangolata e si troverà ad affrontare una situazione di ambivalenza: da un lato la ragazza ha la sensazione di avere un rapporto preferenziale con uno dei due genitori e si sente al centro di gratificazione e privilegi; dall’altro stabilisce un vincolo rigido di dipendenza dalle figure genitoriali che durante la crisi adolescenziale, entra in conflitto con i bisogni di autonomia e di individuazione propri di questa fase. Questa costellazione interattiva caratterizzata da relazioni invischiate, occultamento dei conflitti, immagine di armonia e coesione, nasconde spesso vissuti di solitudine, di isolamento, di carenza di scambi affettivi nella paziente.
Non solo i modelli comportamentali e di pensiero, i ruoli e le modalità di espressione nei legami affettivi ma anche i vincoli, il rispetto delle dimensioni mitiche, la lealtà ai mandati, sono fondamentali in una famiglia. La lealtà in una famiglia dipenderà dalla posizione di ciascun membro all’interno della giustizia del suo mondo umano, il che a sua volta costituisce parte del computo familiare intergenerazionale dei meriti.
A volte ci possiamo trovare di fronte a pretese eccessive, a conflitti di mandato e di lealtà che costituiscono fonte di disagio. I mandati familiari in questi casi sono tali da non accordarsi con i bisogni corrispondenti all’età del delegato che a sua volta ne viene oppresso. E questo spesso succede nelle famiglie con disturbo del comportamento alimentare.
In queste famiglie i pazienti si trovano nell’impossibilità di crescere. Missioni in cui la richiesta implicita è proprio quella di non crescere, portano il tempo familiare ad arrestarsi.
È implicita nella delega la presenza di un legame, che dovrà essere tanto più intenso e tanto più stabile, quanto i mandati saranno importanti e relativi a temi vitali. Ella famiglia i legami possono avvicinare, delimitare, abbracciare, sovrapporsi, andare incontro, cambiare forma e direzione, spezzarsi, unire più generazioni.
Nelle famiglie delle pazienti con disturbi del comportamento alimentare i legami sono “congelati”. In questo quadro il sintomo acquista un significato protettivo, rappresenta un rifugio e il disagio favorisce la possibilità di contatto che permette di preservare l’unità familiare e gli equilibri. Il sintomo acquista un significato “affettivo”, rinforza i legami che pur esistendo, vengono riconosciuti con difficoltà.
Quando viene chiesto alle ragazze anoressiche di rappresentare graficamente i legami della famiglia, esse sembrano rappresentare i familiari in zone del disegno ben definite e che difficilmente toccano le aree delimitate dagli altri membri, mentre il fuori rimane deserto. La misurazione, il controllo e l’immobilità delle distanze sono gli aspetti più importanti.
I membri delle famiglia si controllano reciprocamente, ognuno è immobilizzato nella propria posizione, irrigidito nel proprio ruolo. Prevale la paura che i legami non possono avvicinare di più senza esplodere e distanze maggiori vengono vissute come minacce per l’unità familiare. Non ci si può avvicinare o allontanare senza rimanere soli. Il controllo reciproco rappresenta l’impegno di ognuno nel mantenere una rigidità di distanze che assicura l’equilibrio necessario alla sopravvivenza della famiglia. il luogo di maggior tensione è il “centro”, il centro dello spazio familiare che rimane libero, quasi deserto, perché è un centro che spaventa e che non può neanche essere guardato. Ed è questo luogo che spesso viene occupato dalla paziente. La possibilità di definire un “centro emotivo” delle tensioni familiari viene vista come una minaccia all’unità affettiva della famiglia. il ruolo della paziente sarà quello di mascherare un “centro” che viene vissuto come pericoloso e si adopera per distogliere l’attenzione dei componenti della famiglia dal nucleo delle tensioni, pagando tutto ciò con il suo sintomo. Il tentativo della paziente di contenere le tensioni familiari, focalizzandole su di sé, trova quindi significato nel mantenere la coesione della famiglia a tutti i costi, con attenzione assoluta alla minaccia di rottura dei legami, cioè timore della disgregazione dell’unità familiare in caso di esplicazione di conflitti o aumento delle distanze tra i membri.
“Sono i vincoli di lealtà con debiti e crediti correlati, che spesso fanno prevalere gli aspetti protettivi, rivolti a mantenere l’unità familiare, con una “trama affettiva” che però invischia, trattiene, lega e sospende in un tempo che sembra fermo” (Onnis, 2000).



BIBLIOGRAFIA


1. Andolfi M., Angelo C. (1981), Tempo e mito nella psicoterapia familiare, Bollati Boringhieri, Torino.
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3. Bowen M. (1979), Dalla famiglia all’individuo, Astrolabio, Roma.
4. Cancrini L., La Rosa, C. (1994), Il Vasi di Pandora, Nis, Roma.
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6. Onnis L. (2000), Il tempo sospeso, Astrolabio, Roma.
7. Scabini E., Cigoli V. (2000), Il Famigliare: legami, simboli e transizioni, Raffaello Cortina, Milano.
8. Watzlawick P., Beavin J., Jackson D. (1971), La pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma.

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